QUARTETTO

Scuola Grande San Giovanni Evangelista, Venezia. 1984

Con QUARTETTO Paolo De Grandis intraprende il lungo viaggio, fatto di incontri e mutui scambi culturali, nel mondo dell'arte. Una stagione dialettica incalzante, una continua ricerca dove l'istinto è una forza che sa attendere, quando forzare e quando spingersi oltre.

QUARTETTO, oltre ad essere la prima mostra ideata nel 1984 da Paolo De Grandis, e quindi manifesto programmatico dell'innovativo approccio all'arte sviluppato nel corso della sua attività, è stato un progetto espositivo di grande respiro che vide coinvolti i critici, Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss e Kasper Koenig,a selezionare un gruppo di artisti: Joseph Beuys, Enzo Cucchi, Luciano Fabro e Bruce Nauman, che spontaneamente per quell'evento realizzarono delle opere di grande valore espressivo. 

QUARTETTO è il titolo volutamente indeterminato e musicale di questa mostra che presenta un ventaglio di presenze artistiche internazionali estremamente concentrato ed articolato: Joseph Beuys, Enzo Cucchi, Luciano Fabro e Bruce Nauman. Presenze colte sotto il segno della qualità e della permanente tensione creativa, all'interno di itinerari di ricerca individuali e differenti tra loro. Dunque una mostra fuori dal collante di una poetica di gruppo e di una logica generazionale. L'arte è il frutto di espressioni che non rincorrono soluzioni omologate tra loro da un unico linguaggio.

In generale l'arte è portatrice di un iniziale scompenso tra l'immagine che produce e quelle esterne ad essa e poi successivamente all'esibizione della propria differenza, di uno stato di integrazione. PercAè possiede una sua interna natura correttiva che la porta a correggere il gesto prorompente della sua apparizione iniziale ed a stabilire un rapporto socializzante nel momento della sua contemplazione da parte dello spettatore.

[...] La Transavanguardia ha preso atto della catastrofe semantica del linguaggio dell'arte e delle relative ideologie sottese ad esso ed ha spostato l'immagine in un rapporto tra turbolenza e serenità, in una condizione di maggiore apertura e libertà espressiva, fuori da qualsiasi inibizione e progetto che non sia quello dolce dell'opera.

Quest'arte lascia viaggiare l'immagine fuori da qualsiasi interrogazione circa la sua provenienza o direzione, secondo derive di piacere che ristabiliscono anche il primato dell'intensità dell'opera su quello della tecnica.

Joseph Beuys ha sempre posto lla propria creatività dentro l'intenso recinto del rituale, fondato dall'oggetto o dalla parola, riconfermando per l'arte il ruolo verticale della conoscenza totale, di una pratica accrescitiva che riporta ogni frammento dentro l'unità di una forma ordinatrice. Il rituale diventa il momento che segnala l'evento accrescitivo che riporta l'arte dentro i suoi luoghi mitici. Spesso Beuys ha accompagnato e segnato i momenti di tale rituale mediante le partiture, mappe progressive che accolgono immagini e parole, tracce flagranti che diventano come un catalogo della genesi, della creazione artistica che parte dalla frantumazione del mondo per approdare al disegno unitario della forma.

La partitura diventa il libro maestro dell'alchimista, dove fermentano tracce di diversi materiali. Infine l'accensione, l'indicazione del gesto rigenerante, l'innesto di una processualità che porta gli elementi ad interagire tra loro. L'artista tedesco usa il procedimento magico di mettere in contatto non soltanto materie appartenenti al mondo inorganico ma anche materiali appartenenti al mondo animale, sociale e culturale.

[...] Beuys è l'eroe in natura, colui che vuole carismaticamente ridare l'unità all'uomo, toglierlo dalla parzialità e dalla paralisi per ridargli energia, pratica romantica come per Novalis l'Inno alla notte e ai morti.

[...] Per Enzo Cucchi lo spazio del quadro non è sfondo dell'immagine, ma una emanazione ad esso stesso sorgente di energia. L'idea è quella di un'arte che aderisce alle cose e nello stesso tempo instaura una catena di contatti e relazioni mobili tra loro, fino al punto di un approdo dinamico in un luogo in cui non esiste differenza ma coincidenza tra verticale  ed orizzontale, tra alto e basso.

Dipingere non significa fissare gli oggetti nella colla della pittura, ma lasciarli scivolare lungo una rotta di collisione, dove non esiste il peso della violenza, dove prevale la calma dell'incrocio e dell'attraversamento silenzioso. Cucchi accetta la forte inerzia dello scolpire e del dipingere, mette tutti i materiali e le immagini (le colline, gli alberi, le case ed i treni, le figure di santi marchigiani) al riparo, sotto il segno della parabola ricurva, dove nulla precipita o va a picco, perchè non esiste peso ma sempre una corsa ancorata ad un interiore rallentamento, che poi significa la saggezza della distanza ravvicinata.

Una saggezza che trova la sua origine nel pensiero religioso della pittura medioevale, in cui il sentire è il metodo del guardare.

[...] Luciano Fabro opera su un'idea di arte come forma di conoscenza, in cui l'esibizione materiale dell'oggetto e dell'installazione ambientale diventa sollecitazione a nuove formulazioni problematiche del pensiero. L'uso di materiali impropri ed il loro accostamento stridente provocano relazioni inedite che interdicono una lettura in termini di passiva normalità. All'apparente tautologia linguistica si contrappone una effettiva contraddizione mentale, uno spiazzamento dell'immagine che fonda l'arte come fonte di una intensa conoscenza.

[…] Il termine decisamente processuale ed insieme concettuale dell'opera di Fabro indica un lavoro che tende ad evidenziare più che l'oggetto il processo creativo, il fare puramente pragmatico dell'arte.

L'opera è il risultato non soltanto di una organizzazione formale dei materiali, quanto piuttosto della diretta presentazione di essi, attraverso un assemblamento che nulla nasconde sul piano della tecnica, per celebrare e rappresentare i modi visibili le qualità dell'idea a cui corrisponde l'indispensabile impiego di un materiale o più.

Così l'arte diventa il luogo dove l'artista, attraverso il suo fare concreto, realizza una conoscenza del mondo, grazie ad una identità di pensiero e forma materiale in cui esso viene rappresentato. Ma la conoscenza per Fabro non è quella schematicamente logocentrica che domina la scena culturale occidentale ma un'altra più complessa ed articolata, capace di allargare i confini di una ragione superbamente sistematrice.

 © FOTO DI MARIA MULAS