Intervista a Paolo de Grandis 

Curatore e Direttore di Arte Communications

di Valentina Spata

 

Fonte: www.artwireless.it

 

1 Si presenti.

Lavoro nel mondo dell’arte dagli anni settanta. Sin da giovanissimo facevo da uditore alle lezioni di Emilio Vedova all’Accademia di Belle Arti. In seguito la mia formazione si è nutrita delle esperienze sul campo a New York e Parigi. Ha sicuramente segnato la mia vita l’incontro con Joseph Beuys e Keith Haring. I viaggi, come percorsi di vita, sono il fil rouge dei miei trascorsi. A partire dagli anni Ottanta mi sono trasferito a New York, contrassegnata allora dalla così detta "cattiva pittura" espressione del nascente graffitismo o della pattern painting, e dove i quartieri neo bohemien dell'East Village, in seguito trasformatisi nel centro del mercato dell'arte internazionale, mi hanno portato a frequentare i suoi protagonisti come Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring. E' durante questo soggiorno che ho avviato l'Academia Foundation con sede a Houston, Parigi e Venezia. Il concetto alla base della mia ricerca è sempre stato quello di portare l’arte fuori dalle sedi canoniche e museali per poter farla fruire ad un pubblico più vasto. Idea e ispirazione che ha trovato realizzazione nella mia prima mostra Quartetto (1984) organizzata parallelamente alla XLI Biennale presso la Scuola Grande S. Giovanni Evangelista e considerata la prima mostra collaterale alla Biennale di Venezia. L’esposizione fu consacrata ufficialmente dai critici Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss e Kaspar Koenig, testimoni di un importante confronto favorito dalla presenza di artisti quali Joseph Beuys, Enzo Cucchi, Bruce Nauman e Luciano Fabro. Fatto ritorno in Europa, ho vissuto a Parigi per sette anni, durante i quali gli incontri con artisti, critici e gallerie sono divenuti stimolo e pretesto per avviare nuove frontiere divulgative dell'arte. Manifesto programmatico la collaborazione con William S. Burroughs in occasione della mostra Calligraffiti of Fire che presentò l'arte di Brion Gysin. Spesso le idee incontrano i valori universali come nel progetto Trittico della Pace del 1989 che ha visto coinvolti il Museo d’Arte Moderna di Belfast, il Museo d’Arte Moderna di Kilkennym ed il Museo d’Arte Moderna di Dublino attraverso la donazione dell'opera di George Dokoupil. Le mie origini veneziane mi hanno poi portato a riscoprire l'antico legame con l'Oriente e a partire dagli anni Novanta ho avviato collaborazioni e interscambi con diverse realtà asiatiche per far conoscere all'Occidente la nuova arte contemporanea orientale ritenendo la Biennale di Venezia il miglior trampolino di lancio per presentare nuovi paesi.

2 Lei è stato fautore della nascita dei nuovi padiglioni fuori dalle aree ortodosse dei Giardini e dell'Arsenale, divenuti ormai parte integrante e imprescindibile della Biennale di Venezia, e della presentazione di numerose nuove partecipazioni internazionali, a partire dal 1995 quando propone, organizza e cura la prima partecipazione ufficiale di Taiwan. Dal 1995 ad oggi ha realizzato 79 esposizioni (40 Partecipazioni Nazionali e 39 Eventi Collaterali). Chi è il curatore oggi?

Io posso parlare per la mia esperienza, come curatore ma soprattutto come viaggiatore. Il viaggio dunque non solo come umano divenire o come risorsa da cui trarre ispirazione ma taccuino metaforico che prende vita con le idee. Idea di far emergere in maniera variegata tutte quelle realtà geografiche che sono state marginali nel contesto artistico internazionale. L’idea di Quartetto si è così sviluppata al contesto internazionale nell’ambito della Biennale. Nel 1995 ho infatti presentato per la prima volta la partecipazione di Taiwan come paese con una sede esterna ai Giardini e Arsenale. In questi vent’anni ho fatto conoscere la l’arte proveniente da Hong Kong, Macao, Singapore, Indonesia (solo per citarne alcuni) fino ad arrivare a connessione strette con il Marocco e al recente debutto dell’Andorra e della Costa d’Avorio. Paesi che hanno prima debuttato ad OPEN, Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni, che ho ideato nel 1998 insieme al caro amico Pierre Restany e che quest’anno è giunta alla sua sedicesima edizione. L’idea di OPEN è nata dal principio di creare una esposizione all’aperto durante la Mostra Internazionale di Arte Cinematografica e si basa sul principio significativo di invitare un artista per ogni nazione partecipante: gli artisti che partecipano alla esposizione rappresentano il loro paese in un ambiente prestigioso e di cultura internazionale e palesano il legame fra le arti visive ed il cinema attraverso la loro presenza artistica lungo il percorso espositivo nevralgico di Venezia Lido e dell’Isola di San Servolo. OPEN, con i suoi spazi interni ed esterni, ha la sua struttura specifica. L’osmosi fra i due mondi culturali si crea da sé all’aria aperta (OPEN) attraverso i movimenti spontanei ed interattivi dei due pubblici. Ad OPEN hanno partecipato artisti di fama internazionale come Yue Minjun, Marc Quinn, Wang Guangyi, Chen Zhen, Chen Wenling, Magdalena Abakanowicz, Carl Andre, Arman, Louise Bourgeois, César, Sandro Chia, Christo and Jeanne-Claude, Erik Dietman, Leòn Ferrari, Keith Haring, Dennis Hopper, Ju Ming, Richard Long, Marisa Merz, Max Neuhaus, Nunzio, Jean-Pierre Raynaud, Niki de Saint-Phalle, Beverly Pepper, Fabrizio Plessi, Mimmo Rotella, Julian Schnabel, Emilio Vedova, Bernar Venet fino alle numerose partecipazioni di Yoko Ono.

Questa è dunque la mia idea di curatore. Questo sono io.

3 Quali sono le difficoltà ad operare nella città lagunare?

Venezia è una città che offre molto e ha naturalmente i suoi limiti. Non entro in merito a sterili querelle politiche circa quanto si potrebbe fare di più, ma mi ritengo fortunato e mi piace la sfida di creare il contrasto tra il retaggio storico veneziano così importante, così presente e l’arte contemporanea che si innesta nel territorio per creare nuove sinergie grazie alla Biennale di Venezia e ad OPEN. Io sono un privato, non mi interessa la politica, e in questi anni ho constatato che è più semplice lavorare all’estero. La sfida è quella di portare dunque l’arte internazionale a Venezia.

4 Girando il mondo che idea si è fatto del sistema dell’arte contemporaneo italiano? Da quale tipo, eventuale, di “patologia”è afflitto?

Penso che il termine “policromo” sia appropriato nel pensare all’arte italiana… Che di riflesso reinterpreta e restituisce la nostra realtà. Parlare di patologia mi sembra eccessivo, forse di limiti inerenti ai meccanismi e alle dinamiche che stanno dietro il sistema economico.

5 Esiste il “Made in Italy” nell’arte?

Per certi versi si, naturalmente da un punto di vista storico gli anni della Transavanguardiae dell’Arte Povera sono lontani ma mi auguro che si possa rivivere almeno dell’entusiasmo di allora.

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