ITALIA - MARCO MARIA GIUSEPPE SCIFO

Lungo le dighe foranee che si inoltrano nel mare e che segnano gli ingressi del porto al Lido a sud e a nord dell’isola, abbiamo la consuetudine a imbatterci nei tetrapodi che le costeggiano, mostruose figure geometriche solide utilizzate quali ideali frangiflutti che ci accompagnano nei nostri percorsi lidensi fino ad arrivare alle piazzole con i rispettivi e opposti svettanti fari. Sicuramente con l’ultimazione dei lavori del Mose sia a San Nicolò che agli Alberoni, vedremo il moltiplicarsi di tali strutture utilizzate prevalentemente per contrastare le mareggiate, onde garantire prosecuzione e durata a tutti i lavori previsti nei progetti dei siti, destinati a modificare notevolmente l’assetto ambientale di tali aree concepite per accogliere porticcioli con rispettivi posti barca e parchi sulla spiaggia dove già le evidenti bonifiche anticipano i conseguenti futuri sviluppi. Probabilmente Marco Maria Giuseppe Scifo, per il suo intervento a San Servolo, ha pensato di utilizzare il tetrapode quale simbolo del cambiamento in corso cercando di assecondarne le prerogative estetiche, spesso eluse, dall’artista, invece, riconsiderate a livello progettuale e dei materiali utilizzati, non nel suo caso il freddo e invasivo cemento, ma l’organico legno, emblema della naturale corruzione della materia, ma anche del suo rigenerarsi e della conseguente necessaria cura che si dovrebbe avere nei confronti di qualsiasi opera umana. Un’interessante indagine a livello modulare, tecnico-scientifico e organico con l’intenzione di restituire l’arte a un intrinseco rapporto con le scienze, ma sempre inteso nel pieno rispetto con la natura. Concludendo con le stesse parole di Scifo “il volume in metri cubi dei due tetrapodi ora ubicati nell’Isola di San Servolo non è spazio occupato da forme, ma è la capacità di un insieme molecolare inscritto in un luogo”. 

 

Testo a cura di Saverio Simi de Burgis