Corea
Lee Ufan
Lee Ufan, artista coreano fondatore del gruppo Mono–Ha, vive in Giappone ma è un nomade che ha saputo coniugare insieme il linguaggio delle avanguardie occidentali e la cultura di quelle orientali. Aggirando il ready-made del cartesiano Duchamp ed il taglio del barocco Fontana, Lee Ufan sostituisce al principio di rappresentazione quello di presentificazione, in un percorso che corre dagli anni Sessanta, sculture e installazioni, alle "Corrispondenze" degli anni Novanta, fino alle pitture di oggi. Senza contrapposizioni ha fondato un incrocio spazio-temporale sostituendo al concetto di forma quello di "struttura", a quello di spazio quello di "campo", quale sistema di relazioni aperte a sviluppi che tendono a coniugare il pieno e il vuoto insieme. L'intera ricerca di Lee Ufan è una messa in crisi dell' "objet trouvé" e della sua metafisica: una forma morta scontornata nello spazio estetico e sottratta alla vita. Invece Lee Ufan non rappresenta ma "presentifica" un'idea di temporalità attiva che sostiene l'incontro dell'artista col mondo e dell'opera con lo spettatore. Ora una "tache" si irradia sulla superficie attiva di una pittura che sviluppa l'epifania di un incontro con il pubblico. Ora realizza pitture in cui egli è totalmente artefice del tutto. I segni orchestrati sulla tela hanno una tensione, un percorso e una durata spaziale giocati nel segno di una misura standardizzata a mano. Una misura memorizzata da un gesto che non dimentica precisione ed energia, scorrevolezza artigianale e geometria dell'estensione. Spesso questi spazi costituiscono degli architrave della visione, nell'ordine di due o tre organizzano il campo spaziale in termini di essenzialità visiva tesa ad evidenziare precisione ed indeterminazione, costrizione e potenziale modificazione. L'artista sembra voler dare al forte segno tracciato sulla superficie pittorica l'incisivo volume dell'oggetto o materia adoperata precedentemente nelle sue installazioni. La forza del tracciato serve proprio ad intensificare il momento dell'incontro tra l' opera e lo spettatore mediante un intreccio tra tempo e spazio, dimensioni entrambe necessarie per realizzare il valore dell'arte, quello della "presentificazione". Ecco che Lee Ufan risolve il problema della immortalità dell'opera senza voler ipotecare il futuro, piuttosto fondando la persistenza del presente. Estendere il presente diventa per l'artista orientale un modo di eliminare da una parte il patetico sistema di previsioni del futuro e di ipotecare invece, attraverso una diversa dimensione dello spazio, un campo così vasto da accogliere il tempo del suo battito costante.
Testo a cura di Achille Bonito Oliva
Courtesy of Fondazione Mudima