CREAM / Italia
Giacomo Roccon
Undici figurette umane, raccolte in gruppo, guardano qualcosa. Le due al centro reggono un lenzuolo, il qualcosa da guardare si trova dentro il lenzuolo. Sono figure di bambini: i corpi esili, i volti ignari, innocenti, curiosi. Sono nerastri, sembrano orrendamente ustionati; sono dei cadaveri ambulanti, anche se non sembrano rendersene conto. Indossano abitini alla moda, sulle spalle hanno armi giocattolo. Quello che stanno fissando, all’interno del lenzuolo, è il planisfero con tutti i continenti, su cui si staglia, col suo volto spettrale, una maschera antigas. È un giocattolo? Non lo sanno, è evidente. Viste da vicino, queste tragiche apparizioni si rivelano squisiti pezzi di scultura: la dolcezza degli strani visi a metà bruciati è qualcosa che resta a lungo nella mente di chi li osserva. Nel gruppo delle installazioni di CREAM per OPEN XI, questa di Giacomo Roccon è la più tipicamente, classicamente scultorea, basata sull’impatto fisico della figura tridimensionale, e sulla sapienza del modellato. L’opera è concepita in modo da alludere non solo allo scandalo dei bambini soldato, un orrore del nostro tempo, ma anche al mistero inquietante ed eterno dei bambini che sognano la guerra, e fanno della guerra un gioco, ignari del dolore e della morte. Ma la ricchezza di significati non va a scapito del messaggio formale di questo forte gruppo scultoreo: concepito in riferimento ideale all’esercito di terracotta di Ch’in Shih Huang Ti, il plotone dei bambini soldato interagisce con la quiete idilliaca e il silenzio del giardino di San Servolo, la cui pace profonda sottolinea per contrasto il lacerante messaggio dell’autore. Messaggio che, in questo caso, punta su note per lui insolitamente delicate, essendo in altre occasioni un potente scultore iperrealista che prende volentieri lo spettatore per le budella. Come in "Game Over", figura a grandezza naturale di una giovane donna incinta seduta a terra, discinta e instupidita, circondata da scatole di sigarette e medicinali (Premio ARTE 2006 per la scultura, nella sezione Accademie). O come in "Fallen Angel", opera realizzata nel 2006 per OPEN 9, figura umana a grandezza naturale che pendeva lugubremente sospesa a catene, stretta dal collo ai piedi da garze bianche che lasciavano scoperto soltanto il viso (vaga evocazione dell’uso medievale di sospendere in alto, per esporli alla vista di tutti, i cadaveri dei giustiziati). Pensata in funzione della volta a carpenteria metallica destinata a ospitarla, traeva sapiente vantaggio dagli elementi ambientali, in particolare dalla brezza marina che faceva lievemente, malinconicamente oscillare la figura inerte e i lunghi capelli pendenti nel vuoto.
Testo a cura di Gloria Vallese