Italia
Dario Ghibaudo
…Un accumulo di luce
Tutto comincia con una sorta di abbagliamento, un abbagliamento che si pone come filtro tra il mondo dell'opera ed il mondo delle cose. Tutti i corpi (divini, umani, animali, vegetali, minerali) di Dario Ghibaudo sono costruiti a partire da uno scheletro interiore che li impegna in una convinzione stupita davanti alle loro identità, svincolati dai moduli consueti della rappresentazione, alla ricerca di una visione che ci immette nella dimensione di una irregolarità, apparentemente pacificata. Tutti i corpi di Dario Ghibaudo sembrano irrompere in uno spazio a loro estraneo, per Dario l'immagine è il pretesto di una trasgressione, è la ricerca di un mondo nascosto, un mondo momentaneamente dissimulato ma percepibile per chi sappia richiamarne la presenza. Corpi che hanno nuova vita a partire da un'energia rivolta contro se stessi, che ci costringono ad uno sguardo che tende alle separazioni: non scopre lo spazio oggettivo, ci costringe a vedere le cose distinte, distinte da noi e distinte le une dalle altre, si crea così una struttura che, una volta abolito il linguaggio codificato, una volta tradite tutte le aspettative, dispiega l'universo dei possibili creando un universo di idee, di immagini, di senso, di sentimenti.
Questa volta ci propone un accumulo di ombre che si trasformano in una fonte luminosa dinanzi alla quale però si interpone un corpo, e le ombre sfidano il riflesso di un' altra sorgente. Dario sembra fisicizzare un mondo virtuale in cui non ci sono né apparenze né essere, e lo immette in un mondo reale in cui non esistono ombre giacché questa è l'epoca in cui l'individuo è divenuto trasparente, un corpo trasparente in qualche modo attraversato dai messaggi, dall'informazione, dai megahertz…E Dario ricostruisce i contorni dell'ombra… una visione esagerata, intrisa di una quiete repressa, di un gioco ossessivo con la stranezza, la bizzarria, l'esasperazione del sonno.…Un accumulo di luce.
Testo a cura di Francesca Alfano Miglietti