Italia
Giulio Serafini
Da sempre l’uomo guarda il cielo chiedendogli conto del proprio stare sulla terra. Il lavoro di Giulio Serafini si muove attorno a questa questione teoretica che nei secoli ha interessato non solo filosofi e poeti, ma anche numerosi pittori.
L’artista di Urbino ha scelto di parlare della luna declinandola con materiali diversi e ritraendola in composizioni che trascorrono da un’ispirazione di stampo cubista fino a una visione neo-romantica. Nel nostro mondo sempre più teso all’accumulo di beni materiali e le cui aspirazioni si limitano alla sfera del benessere, Serafini addita l’alto proponendo una riflessione sul significato della nostra vita. Si tratta di un ritorno all’origine e a quella innocenza della quale parla Heidegger, quando suggerisce la necessità di recuperare la purezza dello sguardo che avevano gli antichi. Inserito nelle ineluttabili leggi dell’universo, l’uomo contemporaneo avrebbe più che mai bisogno di ritrovare la rotta. La luna, divinità pagana di grande valenza estetica, è sempre stata paragonata a una lampada sospesa nel cielo per illuminare il nostro cammino notturno. Ma nell’empireo delle divinità greche è anche una donna di grande bellezza che tenta gli uomini con il suo splendore. Fino a tutto il Seicento considerata la semplice ancella del nostro pianeta, con Galileo Galilei si trasforma in un oggetto celeste dotato di valli, pianure, montagne e maree. Serafini fa rifermento a questa luna postcopernicana. E la sua pittura tiene conto di tutte le valenze psicologiche e scientifiche che ciò comporta. A seconda dei materiali prescelti la luna diventa una forma consolatrice, la protagonista della notte, o l’elemento che rimanda al nostro senso del divino. L’invito di Serafini è di tornare a guardare con umiltà il tetto, fatto di corpi e di vuoto, che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare cielo. Per ricollocarci in un giusto equilibrio con le cose del creato.
Testo a cura di Anna Caterina Bellati