: Italia
Michelangelo Galliani
Pallottole su...Moriana ...cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'Inferno, non è inferno. E farlo durare, e dargli spazio…
Italo Calvino
Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando - in quella che è forse da considerare l'opera più bella di Italo Calvino - gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni suo altro suo messo o esploratore. "Nella vita degli imperatori - scrive l'autore nelle sue Città Invisibili - c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia ed al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli ed a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l'odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri (...). È il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina". A questo imperatore melanconico, che ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché comunque il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili: ce n'è una microscopica che s'allarga e s'allarga e risulta costruita di tante città concentriche in espansione, una città ragnatela sospesa su un abisso, o una bidimensionale, Moriana, che non ha spessore e consiste solo in un dritto e rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là che non possono staccarsi né guardarsi. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riesce a discernere, attraverso "le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire ai morso delle termiti". È l'idea dell'opera estraniata al di fuori del tempo e dello spazio, lo stesso "invisibile" disegno a cui si affida Michelangelo Galliani esplorando altri mondi, che poi trasferisce e concettualizza nella sua ultima serie di lavori. Il tema dei luoghi immaginari ideato da Calvino si ripresenta nelle opere del giovane artista sotto forma di reparti e memorie di culture immaginarie. Le Città Invisibili dello scrittore e dello scultore sono un sogno che nasce dal cuore della città invisibile, quello che sta a cuore ad entrambi, scrittore e scultore, è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di sogni, di segni di un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, che non sono però solo scambi di merci, ma di parole, di desideri, di ricordi. Le sculture di Galliani, così come il libro di Calvino, si aprono e si chiudono su immagini di città (e cittadini) felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città (e nei cittadini) infelici. Autore e viaggiatore visionario, l'artista emiliano scava nella materia inanimata del marmo per cercare un'immagine inizialmente invisibile che sembra poi prendere spontaneamente vita dal blocco grezzo. Il sogno artistico nasce appunto dalle città calviniane, da quelle Fedora. Diomira, Sofronia, Ledelma che lo ispirano nel creare un'installazione di marmi contenuti dentro grandi casse di legno che provengono idealmente dai musei di queste fantomatiche "polis". Sulle casse da trasporto campeggiano i timbri della National Gallery of Diomira, del Musée des Beaux Art di Sofronia, del Museo Archeologico di Fedora o della Pontificia Accademia delle Arti di Ledelma. All’interno, avvolti nei bossoli di proiettili e nel pagliericcio, i marmi delle città invisibili aleggiano in una dimensione spazio-tempo tra il sogno e la realtà. Racchiudono l'essere e il divenire delle cose, la necessità e la libertà incondizionata dell'arte, la transitorietà del destino umano che l'immagine del passato e la proiezione immaginaria in un futuro salvano dall'oblio. Si tratta di memorie, di reperti che testimoniano realtà e cultura di mondi altri, immaginari.
Galliani ama lavorare sul crinale che separa la vita dalla finzione, la realtà dall'invenzione. Il marmo è la materia che sfida il tempo e quindi la morte, che si pone sempre oltre il dato puramente sensibile, oltre l'apparenza, per salvare al contempo la mutevolezza del reale e l'immutabilità nell'essere, l'esistenza e l'incostanza dei corpi concepiti come insieme di parti che vengono accostate tra loro. Le sue opere sembrano essere state create un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi. Come un poeta che mette sulla carta le sue liriche, così l'artista segue le più varie ispirazioni. E nel procedere pare andare a serie: tante cartelle immaginarie nelle quali ripone le idee che gli girano per la testa, le visioni che lo catturano. C'è una cartella per gli oggetti, una per le persone, una per gli animali, un'altra per la storia dell'arte, una per la genetica e la biologia, una per la mitologia, poi una per i sensi e una per i paesaggi della sua vita, fuori dallo spazio e dal tempo. Quando una cartella comincia a riempirsi, lui comincia a pensare all'opera che ne può tirare fuori. Così nascono le serie: le Isole, le Metamorfosi, i Marmo in vitro, i Medical sculpture, i Marmi Gemelli, fino agli ultimi Carne altrui e Marmi dai due mondi. Galliani opta, nel suo itinerario, per confrontarsi con la tradizione classica, e guarda con attenzione al suo omonimo rinascimentale a Jacopo della Quercia, a Medardo Rosso e anche ad Adolf Wildt, fino alla statuaria orientale – tailandese e birmana - ed alla perfezione classica della Grecia arcaica. Ma, figlio del suo tempo, non dimentica le sollecitazioni del cinema, la passione fantascientifica rifiorita sul finire del Novecento, espressa per esempio dall'impietoso ritratto di The elephant man di un geniale David Lynch, o dagli orrori di La mosca del visionario David Cronemberg. L'artista sceglie un lavoro che sappia confrontarsi con i maestri pur senza dimenticare tematiche contemporanee, in particolare quelle relative alla dittatura della scienza e degli esperimenti genetici. Coniuga la classicità della tecnica con le allusioni a un presente inquietante, fatto di ibridazione e mutazione, contamina cultura classica e tensione contemporanea. In uno scenario sospeso tra mitologia e fantascienza, parla di una natura sempre più manipolata, dove l'identità dell’essere è sempre più in crisi e dove si affaccia l’inquietante spettro della clonazione e dello smembramento del corpo umano. Le figure e i volti si adattano ai tagli di marmo più strani e improbabili, si costruiscono intorno ad imperfezioni e menomazioni di blocchi mai perfetti e squadrati. L'armonia di lineamenti efebici è deturpata da vene di pietra viva simili a enormi cicatrici, corpi armoniosi ed eleganti sono vessati dall’ impossibilità di svilupparsi per intero. Alla fine, sollecitato e convinto proprio da tutte queste costrizioni, decide che ogni sua opera deve diventare una sfida alla casualità, il tentativo di dare ordine e anima a scarti di marmo irregolari e difficili. Dove i tagli al vivo e le parti lasciate al naturale hanno lo stesso peso dei volti finiti e levigati, e dove i cristalli di roccia splendono come grani di sale. Il giovane scultore genera mutanti, bestie antropomorfe, eroi menomati e tragici che inserisce in una nuova mitologia, al confine tra passa:o e presente. Operare delle connessioni e realizzare una contiguità fra le azioni passate, creare un tutto dove l'oggetto è il tempo nella sua struttura ternaria (passato, presente, futuro): questo è il principale compito della memoria, e pure del nostro autore.
Curatore: Vincenzo Sanfo
Testo a cura di Maurizio Sciaccaluga
Ringraziamenti: Marinella Paderni