Foreign Affairs: Artists from Taiwan
Evento collaterale della 53. Esposizione d’Arte Internazionale - La Biennale di Venezia
La mostra del Taipei Fine Arts Museum di Taiwan
Sede: Palazzo delle Prigioni, Castello 4209, San Marco, Venezia, Italia
(Vaporetto: S. Zaccaria, accanto al Palazzo Ducale)
Artisti: HSIEH Ying-Chun CHEN Chieh-Jen Chien-Chi CHANG Cheng-Ta YU
Commissario: Fang-Wei CHANG
Comitato consultivo: Amy CHENG Manray HSU Hong John LIN Chia-Chi Jason WANG Jun-Jieh WANG
Organizzatore: Taipei Fine Arts Museum di Taiwan
Il Taipei Fine Arts Museum di Taiwan è lieto di presentare la mostra Foreign Affairs: Artist from Taiwan, che si terrà a Venezia, presso il Palazzo delle Prigioni, dal 7 giugno al 22 novembre 2009 (orario di apertura: 10:00 – 18:00).
L’espressione Foreign Affairs (lett. affari esteri), estremamente allusiva, offre un canovaccio vuoto di possibilità entro il quale liberare l’immaginazione. “Foreign” significa “esterno” o “estraneo”, qualcosa o qualcuno proveniente da “oltremare”. “Affairs” può invece riferirsi a una serie di questioni o eventi. In inglese, per esempio, l’espressione suggerisce una relazione extraconiugale, un “love affair,” una sorta di rapporto al di fuori dei canali ufficiali. Ma anche in cinese l’espressione “affari esteri” allude a un rapporto illecito e viene usato come doppio senso in ambito sessuale. Nell’uso convenzionale stereotipato, per “affari esteri” si intendono le interazioni di un paese con un altro, facendo essenzialmente riferimento ai rapporti internazionali, sebbene possano anche descrivere scambi tra singoli soggetti. Quando in cinese si dice che una persona è portata per gli “affari esteri” si intende che è particolarmente capace di socializzare e intrattenere buoni rapporti interpersonali, sottintendo che l’interazione con gli altri è un modo per ottenere convalide e rafforzare l’identità. In altre parole, attraverso gli “affari esteri”, la costruzione del soggetto è un processo costante di scambio, comunicazione, dialogo e interazione con gli altri. Che si tratti di gruppi o singoli, la creazione di un rapporto dipende dalla comunicazione e dal dialogo. È un processo di costruzione e affermazione costante che si dispiega in un rapporto di continuo movimento tra sé e gli altri.
A lungo i taiwanesi sono rimasti chiusi in una difficile situazione politica in termini di affari esteri sviluppando mezzi di reazione e risposta propri, sia a livello individuale che collettivo. In occasione della Biennale di Venezia di quest’anno, il padiglione di Taiwan sarà intitolato Foreign Affairs, espressione che sarà metafora e concetto unificatore dell’intera mostra. La scelta delle opere esplora lo stato pratico dell’arte interregionale nel contesto della logica operativa dell’economia, della società e della politica globale contemporanea, le possibili alternative all’interazione comunicativa, nonché la questione dello stato e dell’identità di Taiwan. Gli artisti partecipanti, ciascuno secondo la propria identità, entrano in altre regioni, con le loro peculiari modalità di applicazione pratica, per osservare, documentare e intervenire al fine di comunicare, interagire e scontrarsi con diverse aree del mondo, mettendo concretamente in atto un sistema di “affari esteri”.
Hsieh Ying-Chun (nato nel 1954) è un architetto taiwanese che da anni lavora sottoposto a gravosissimi vincoli di bilancio per offrire a minoranze e gruppi sfavoriti della società una forma di costruzione collaborativa. Hsieh è noto per il suo approccio rigoroso nei confronti di vari progetti architettonici per i clienti. Più che un architetto, Hsieh è un attivista architettonico che tiene conto dei limiti sociali, culturali ed economici e delle preoccupazioni ecologiche per creare opere che incarnino gli ideali di una “costruzione sostenibile”. Hsieh Ying-Chun si contrappone alla divisione modernista del lavoro e della classificazione. Assecondando una personalissima prospettiva dell’estetica architettonica, Hsieh riunisce materiali e residenti locali in maniera diretta ed efficace, facendo meno affidamento sull’aspetto finanziario e assumendo un approccio rispettoso dell’ambiente nei confronti dei progetti. Oltre a lavorare su progetti di ricostruzione dopo il devastante terremoto che ha colpito Taiwan il 21 settembre 1999, Hsieh si è intensamente dedicato a progetti di costruzione nella Cina rurale (come latrine che separino feci e urina). Attualmente sta coadiuvando la Cina nel suo impegno di ricostruzione a seguito del terremoto di Sichuan del 12 maggio 2008. Come uomo e architetto, Hsieh mette in moto l’architettura oltre i limiti locali indossando il manto delle “relazioni estere” attraverso gesti diretti.
Chen Chieh-Jen (nato nel 1960) si è servito a lungo di immagini mordaci e intense per aprire un dialogo con l’Occidente in merito ai rapporti globali di storia e potere, la difficile situazione dei lavoratori di fronte alla globalizzazione e le possibilità di esposizione e azione. L’oltraggioso trattamento che gli è stato recentemente riservato quando ha chiesto un visto per gli Stati Uniti ha reso ancor più concitata la discussione sul tragico stato in cui versa il popolo taiwanese nell’ordine globale neoliberalista e neocoloniale post-guerra fredda. La nuova opera, Empire’s Borders I (2009), è un video che si apre mostrando i tanti controlli ai quali i cittadini taiwanesi devono sottoporsi quando chiedono un visto per gli Stati Uniti per motivi familiari, di lavoro o di turismo, discutendo poi come l’impero utilizzi tutti i mezzi disponibili per penetrare in qualunque altro settore con la sua mentalità imperiale. Nell’intervista con Chen Chieh-Jen, Amy Cheng scrive che Empire’s Borders I prosegue la riflessione sull’interiorizzazione della coscienza imperiale nella società taiwanese. Per un verso, fa emergere il pensiero insito e interiorizzato nella loro coscienza; per un altro, scriverne e parlarne costituiscono l’inizio di un movimento per “abolire la mentalità imperialista”. In altre parole, per i cittadini taiwanesi l’opera produce l’effetto di strappare la mentalità imperialista interiorizzata e migliorare la consapevolezza di sé, mentre per l’impero è una protesta degli “affari esteri” contro il suo atteggiamento dispotico nei confronti delle relazioni estere.
Chien-Chi Chang (nato nel 1961) si è concentrato a lungo su vari temi sociali attraverso la lente della fotografia documentaristica. Tra le sue opere più note vi sono le foto che fanno la cronistoria dei lavoratori illegali nella Chinatown newyorkese (China Town), The Chain, una serie di fotografie scattate a Longfatang, controverso ricovero psichiatrico a sud di Taiwan, e i rituali con cui uomini taiwanesi e donne vietnamite si corteggiano e combinano matrimoni fino alla celebrazione delle nozze (Double Happiness). Chang ha intrapreso la sua constante osservazione cronicistica delle vite degli immigranti illegali nelle strade di Chinatown a New York nel 1992, recandosi nella provincia di Fujian, in Cina, per andare a trovare le loro famiglie e raccontare le storie uniche di persone che vivono ai margini della società. Hong John Lin osserva che l’aspetto più significativo del processo fotografico è che “il fotografo diventa parte delle vite dei soggetti, per cui di fronte alla macchina si riflette uno stato di totale disarmo”. Chang ha scelto di lavorare con la gente svantaggiata in tutto il mondo, convivendo per periodi prolungati in maniera da intessere rapporti di fiducia e amicizia, mettendo dunque in atto un sistema di “affari esteri”.
Cheng-Ta Yu (nato nel 1983) appartiene a una generazione che non ha vissuto il tempestoso discorso dell’“identità” che ha consentito di porre fine a quarant’anni di legge marziale a Taiwan (15 luglio 1987). Vive però in un’epoca carica di problematiche derivanti dalla convivenza di gruppi etnici estremamente diversi. L’ultima opera di Cheng-Ta Yu è una documentazione video di due donne filippine coniugatesi con uomini taiwanesi che lavorano nello stesso edificio a Taipei. Dopo più di dieci anni a Taiwan, la lingua locale è diventata uno strumento della loro quotidianità, ma nella sua interazione con loro Yu sperimenta tre diverse lingue (mandarino, taiwanese ed inglese) assumendone alcune pronunce idiosincratiche nelle sue conversazioni. Esplorando in punta di piedi i campi minati del linguaggio frammentato, equivoci e accenti corrotti diventano la norma. Per concludere il video con una nota di lievità, le donne cantano una canzone in mandarino nel tentativo di liberare tutti dalle barriera linguistiche che inevitabilmente si sono formate nella loro conversazione e smantellare l’austera nozione di differenza culturale. In Ventriloquists: Introduction (2008) Yu si apposta dietro residenti stranieri di Taiwan come un ventriloquo facendoli imitare, per presentarsi, la frase in mandarino che ha appositamente confezionato per ciascuna personalità. Nel corso dell’imitazione, la mancanza di familiarità degli imitatori con la lingua target inevitabilmente crea momenti divertenti, pur senza alcuna volontarietà, e talvolta porta a una totale impossibilità di comunicazione, che soprattutto per i madrelingua è motivo di grande ilarità. La “diplomazia del linguaggio frammentato” di Cheng-Ta Yu testimonia la possibilità di creare una cultura mista vivace, ottimista e costruttiva.
I quattro artisti presenti alla mostra condividono punti comuni di intersezione. Si sono tutti a lungo concentrati sul trattamento impari delle persone svantaggiate nel mondo globalizzato e hanno agito con mezzi distintivi, personali e pratici. Inoltre, si sono tutti impegnati in un dialogo e un’interazione con altre aree del mondo, partendo dall’identità culturale di un artista e attraverso il coinvolgimento diretto, persino scontrandosi personalmente con specifici sistemi internazionali per metterne in luce le problematiche. Che si tratti dell’architettura aperta e socialmente attivista di cui Hsieh Ying-Chun ha dato prova sia a Taiwan sia in Cina, dell’esplorazione di Chen Chieh-Jen dei confini dell’impero che hanno caratterizzato Taiwan sin dalla Seconda Guerra Mondiale, della preoccupazione a lungo termine di Chien-Chi Chang per il problema dell’immigrazione illegale tra Cina e Stati Uniti o del video di Cheng-Ta Yu che mostra donne coniugate nella società taiwanese e vicende di viaggiatori internazionali in visita a Taiwan, tutte sono espressioni informali e personali, applicazioni pratiche di un “effettivo sistema di affari esteri” che esplora lo stato attuale dell’individuo nelle circostanze asimmetriche e squilibrate della globalizzazione.
La mostra è patrocinata dal Ministero degli esteri, R.O.C. (Taiwan), dal Consiglio per gli affari culturali, Taiwan; dal Comune di Taipei e dal Dipartimento per gli affari culturali, Comune di Taipei.
Per ulteriori informazioni rivolgersi a: Taipei Fine Arts Museum di Taiwan
Tel +886 2 2595 7656 Fax +886 2 2585 1886 E-mail: info@tfam.gov.tw www.tfam.museum