Francia
Frederique Nalbandian
In un mondo sempre più virtuale e velocizzato dall'informazione Frédérique Nalbandian evita di utilizzare i materiali che si presentano rigidi, duri, estremamete compatti, per privilegiare quelli morbidi, flessibili e duttili che per la loro consistenza possono essere facilmente plasmati dalla mano dell'artista. Frédérique ama quindi usare il gesso, il sapone, la cera e la paraffina per la loro capacità di avvolgere le cose, gli oggetti ma anche le forme organiche, quali la carne e gli organi dell'uomo. Non c'è nella sua opera una forte esigenza al riduzionismo dell'immagine come nell'Arte Povera e neppure il bisogno del recupero degli elementi primari della natura, ma piuttosto il desiderio di recuperare la memoria delle cose e le forme degli oggetti preesistenti riproponendoli in un linguaggio caldo e personale. Il lavoro di questa artista è in qualche modo più vicino alle esperienze delle Mitologie Individuali degli anni '70, dove il linguaggio dell'arte diviene lo strumento per recuperare l'estensione della spazialità dell'essere-
uomo in tutte le sue diverse direzioni e in tutte le sue facoltà immaginative. Il suo linguaggio è quello della ricopertura degli elementi sparsi nel nostro mondo quotidiano, al fine di carpirne in negativo la forma che ella successivamente ricostruisce in gesso o col sapone. Il suo dispositivo di lavoro è quello di frantumare con il martello dei pezzi di realtà e ostenderli sui muri o sul pavimento dei luoghi di esposizione. Realizza in tal modo il suo progetto, ovvero mettere questi frammenti in presa diretta con lo spettatore, che viene pertanto coinvolto in un'esperienza estetica. Attraverso la frammentazione delle immagini in negativo, essa ottiene delle forme inusitate e enigmatiche, che conservano il calore della vita e restituiscono, attraverso le impronte delle sue dita lasciate sul gesso, la testimonianza personale del suo fare operativo. Questo desiderio di distruggere e modificare la realtà nasce certamente da un suo stato interiore, quasi a visualizzare un proprio disagio, che genera e produce il gioco delle emozioni. Rompere le fattezze del reale e ricrearlo sotto forma di nuove immagini è un atto creativo riparatore di una mancanza di amore che l'artista vuole colmare e riempire di significato. Attraverso questo suo atto di trasformazione e condivisione, essa partecipa in prima persona alla vita delle cose e degli eventi, in modo da stare loro insieme mediante l'azione di una reciproca coesistenza. Quello che più colpisce nel fare creativo di Federica è questo processo che mette in scena la tattilità della materia ridotta in frammenti, la quale ci restituisce la potenzialità di recuperare la memoria delle cose e il calore della vita espressa dall'integrità dell'uomo. E' “l'idea tradotta in materia”, che attraverso la sua fisicizzazione produce un'emotività antropologica intensa e cerebrale.
Curatore Enrico Pedrini