GERMANIA - E.M.C. COLLARD
Gli artisti della nuova generazione – ed E.M.C. Collard ne fa parte – hanno dato espressione ad influssi derivanti dalle nuove tendenze della Media Art, che conduce a forme apparentemente più complesse dell’Arte con mezzi tecnici minimali.
Intorno agli anni ’60 i pionieri della Media Art attribuirono al video nonché ai media, quali la televisione ed il computer, non solo un ruolo espressivo, ma li considerarono veri e propri oggetti d’arte, ready made, alla maniera di Duchamp. Già nel decennio precedente essi avevano sentito l’urgenza di uscire dal quadro per esplorare lo spazio circostante.
E.M.C. Collard accoglie queste istanze per superarle nelle sue performances fra natura e simbolismo, coinvolgendo l’osservatore che entra in un gioco di esplorazione e conquista dell’ambiente, accanto all’artista. Qui interviene uno sconvolgimento della tradizione, attestato da un rifiuto del medium artistico d’impostazione classica, che presenta dei limiti di fronte alla globalità di un mondo nuovo. La ricerca si fa arte, l’arte esplorazione. Potremmo dire con Laura Panarese che in questa fase si è consumata una delle evoluzioni epocali della storia dell’arte, come quella prospettica del Quattrocento, il naturalismo caravaggesco nel Seicento, la pittura impressionista nell’Ottocento e le avanguardie ai primi del Novecento.
Nella sua ricerca la Collard tende inizialmente ai temi della solidarietà, dell’identità, della condivisione per approdare all’arte informativa. Il suo primo esperimento è quello di coniugare la parola con la pittura e nella personale presentata alla Swiss Cottage Central Library di Londra, intitolata Words and Pictures, incontra un successo notevole per l’azione drammatica che la caratterizza, che l’artista ama definire nanodrammatismo. Vi emergono due cifre, come sottolinea l’amico critico Martin Holman in una approfondita analisi del suo linguaggio: le opere della Collard visualizzano memoria e immaginazione. È la prima a dominare i suoi disegni del progetto Divination, mostra collettiva, la cui presentazione ha navigato per diciotto mesi attraverso spazi atmosferici da Londra ad Amburgo, a Parigi. È un’arte aristocratica quella della Collard, che si manifesta nel tentativo di dare una definizione alla Babele creativa di lingue e dialetti che tracimano da studios, workshops, gallerie, riviste e dal gergo dei singoli artisti. Obsoleto è il predominio di un linguaggio unico come il realismo sociale, l’espressionismo astratto, il minimalismo che un tempo incorporavano l’idea di un processo culturale nell’arte visiva. La preferenza va oggi al neo-concettualismo, nei multimedia, nella mescolanza dei generi, nella globalizzazione, che favoriscono ed impediscono ad un tempo una più ampia ricezione dell’arte.
Osservando i lavori pittorici di E.M.C. Collard, la Babele si evidenzia piuttosto nell’elaborazione che nella definizione degli stessi. Lei utilizza il colore, l’antico medium che sopravvive ad ogni morte preannunciata nell’atelier di pittori impegnati, dove giornalmente si assiste alla crocifissione e alla resurrezione del dipinto: una catarsi sperimentata da ogni artista che come la Collard si immerge nell’idea, la elabora, la analizza, la contrasta, la circuisce in quanto sua, per giungere alla sua opera. Prendiamo ad esempio le opere Zahnderzeitpasta 3.2.1 e Zahnderzeitpasta Delta Second, dipinti che riflettono la materialità del mezzo, il pastello, un delirio di pigmenti e il ritmo espressivo nel gesto che imprime il percorso di una linea che in sé si avvolge e da sé serpeggiando si dispiega. Nodi rossi, bianchi, blu scivolano sulla superficie trattata dall’artista con del dentifricio, mescolato al colore per raggiungere l’effetto di un composto gessoso. La combinazione cromatica disarmonica dona alla tela una carica di sfrontatezza, per quegli elementi semifallicofecali che la incrostano, insieme ad una spumeggiante ricchezza creativa.
Con il suo bagaglio di sogni e di esperienze E.M.C. Collard giunge quest’anno a Venezia, il cui porto assume per lei il valore metonimico di terminal di un viaggio. Oscillando tra citazioni espressionistiche e connotazioni figurative lei approda al luogo in cui collocare i suoi lavori, specchio di molteplici relazioni collettive, strumento di incentivazione della genesi di aggregazione, in grado di svolgere un ruolo attivo nelle dinamiche sociali dell’isola su cui vengono messe in opera. Le sue creazioni rappresentano l’arte al servizio dell’uomo, un’arte utile e comprensibile a guidarlo in un processo estetizzante del mondo e della vita. Anzitutto accoglie i visitatori-passeggeri nel suo viaggio, creando un sistema d’informazione sul territorio attraverso l’utilizzo di simboli e cartelli, che non alterano l’ambiente reale, in quanto la sua arte tende a preservare la specificità, la storia, la memoria del luogo, il valore conferitogli dalla gente che lo frequenta. È un’azione di assimilazione ed adattamento che la Collard realizza non ponendo limiti artistici alla sua opera, in quanto la sua arte fluisce liberamente dall’installazione ad altri generi artistici.
In faccia al mare troviamo due sue installazioni che portano il passeggero, alla ricerca di un punto di riferimento, a conclusioni parallele. Il messaggio distopico/utopico di don’t be scared, cartello indicatore LED che lo accoglie al Lido, apparentemente simile alla segnalazione di un distributore di benzina, può essere inteso come un poetico canto di culla per generazioni retro. “Non aver paura del passato, del presente, del futuro” incoraggia invitante l’ammonimento.
L’opera Miniscule 2010 elabora un’idea autoreferenziale che si rafforza nell’azione proiettata verso l’altro in forma di progetto architettonico per una Venezia futura. Si tratta di un acrilico liberamente esposto su plexiglas, in cui il busto monumentale di una giovane donna s’inserisce, all’occhio dell’osservatore, nella veduta urbana attraverso la trasparenza del supporto. Sul lato opposto appaiono figure circolanti nel corpo.
Lasciamo la facoltà di decidere se la figura femminile o le persone nell’edificio così pensato siano passeggeri di un viaggio immaginario: silhouettes di un teatro delle ombre, statuine di un carillon, immobilizzatesi per sottrarsi al fluire del tempo. Figurine monocrome in pose coreografiche o suonatori di contrabbasso che stanziano su piani sovrapposti. Altre, munite di telescopio, guardano le stelle attraverso gli occhi della donna, quasi finestre aperte verso il cielo.
L’artista con questa installazione tenta un salto a piedi pari fra astrologia ed astronomia, viaggio nei territori della memoria, scienza del linguaggio. Crea un’icona dal forte contenuto espressivo, che va decodificata dal ricevente grazie ad un’analisi dei valori culturali e dell’ esperienza di vita che producono il messaggio simbolico. Miniscule 2010 è il risultato di un processo comunicativo basato sull’interazione di sei elementi: codificatore, decodificatore e contenuto del messaggio. Non manca il referente, nel nostro caso la metafora del viaggio, né il codice con cui il messaggio è formulato ed infine il canale mediatico attraverso il quale esso si trasferisce dall’emittente al ricevente e viceversa, poiché la corrispondenza in un processo di comunicazione è sempre biunivoca.
E.M.C. Collard con un segno grafico elegante ed accattivante ci parla del linguaggio espresso dal corpo danzante, dalla musica e, in un rapporto interattivo, da gruppi di persone comunicanti tra loro attraverso la parola. Il messaggio si fa in tal modo diretto, immediato, colpisce i sensi e l’istinto, acquista un significato evidente, caratterizzato da semplicità, efficacia, ridondanza. Quest’ultima non eccessiva, perché E.M.C. Collard ama muoversi con discrezione.
Testo a cura di Nevia Pizzul - Capello