Greece - Maria Kompatsiari
Usando la rappresentazione come punto di partenza, l’artista è passata per una sperimentazione e una ricerca personale sul colore e la tecnica che l’hanno portata alla costruzione di un linguaggio visivo astratto.
I suoi paesaggi astratti sono processi mentali e spirituali che contengono fughe e situazioni esistenziali aperte a molteplici letture. Il suo linguaggio visivo è caratterizzato da un vocabolario individuale tenero, eppure violento, tenero nel modo in cui si accosta al tema scelto, violento nei contrasti di colore estremi. Attraverso i suoi viaggi, le sue avventure di materia e forma, attraverso il suo incessante processo di ricerca personale, l’artista punta a una confessione visiva che sia, in ultima analisi, consolatoria.
Nell’opera creata per OPEN 14, l’artista invade lo spazio pubblico esterno spezzando i confini della sua pittura illusoria bidimensionale con la stessa eloquenza, utilizzando le componenti strutturali principali del suo linguaggio visivo: giustapposizioni dinamiche tra la linearità del disegno e l’intensità esplosiva del colore, fratture, inversioni, tracce, scritture, propagazioni di ritmo e forma, configurazioni cimose e sinuose che l’artista dipana attraverso la manipolazione illusoria della superficie della tela trasponendo magistralmente tale manipolazione dello spazio e del tempo nelle tre dimensioni e stimolando lo spettatore a molteplici letture. Il cubo e le sue espansioni, costruite in maniera che si racchiudano l’una nell’altra, diventano simboli, veicoli di esperienza e percezione spaziale, incorporando i concetti di eliminazione e viaggio, recando con sé il simbolismo carico di un volo, una fuga, un sogno diurno casuale. Grazie alla costruzione esterna in legno, quasi un guscio, la struttura di base del cubo avvolge i dipinti inscatolati nella forma chiusa di una miniatura sui generis di una galleria immaginaria proponendo un commento ironico sulla molteplicità, lo spazio, il sogno, il confine, la distanza, l’intimità, la rottura, la densità, il vuoto, il silenzio, l’immobilità, l’esplosione, vale a dire, in ultima analisi, sull’immagine anestetizzata dello spazio, il punto in cui il conscio incontra il vago.
Testo a cura di
Maria Kenanidou