Carlo Bernardini
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L’artista parte da considerazioni teoriche e metodologiche piuttosto complesse e, orientandosi nell’ambito della scultura, pone da subito la questione della luce e dell’ombra e della loro capacità di abitare lo spazio. Non parla del corpo dell’opera, del suo pondus, parla di luce e ombra come dei due estremi di una dialettica dove il termine medio non è considerato. Se si osservano le sue sculture in effetti si può constatare il punto di arrivo di un linguaggio riduzionista fino al limite estremo delle consistenza plastica: strutture filiformi in acciaio, schermi luminescenti, lastre di plexiglas trasparente. Il minimo che si possa dire è che i vuoti prevalgono sui pieni fin quasi ad annientarli...
Nella maggior parte dei casi, le fibre ottiche, da sole, si impossessano dello spazio: l’opera vive interamente del rapporto fra la linea luminosa, il disegno di luce, perfettamente geometrico e perciò auto-evidente nei suoi nessi costruttivi, e lo spazio che lo ospita. Nel rapporto, reciproco, lo spazio diventa condizione di visibilità della luce e viceversa, il disegno di luce si articola in base alle caratteristiche strutturali dello spazio (che a volte contiene oggetti con cui i raggi luminosi interagiscono) e quest’ultimo viene dinamizzato dalle linee rette, altamente energetiche, che lo attraversano sempre disegnando volumi virtuali. Tutto ciò, abbiamo detto, “smaterializza”: luce e ombra, spazio vuoto, pochi materiali capaci di assottigliarsi fin quasi ad annullarsi alla percezione. Eppure, Bernardini non è mai troppo hegeliano: la vista come soglia verso il pensiero puro non celebra qui il suo assiomatico trionfo.
Il corpo è altrettanto fortemente tematizzato nell’opera di Bernardini, solo che all’opera non appartiene. L’istanza della fisicità è delegata allo spettatore, è il suo corpo che l’opera chiama in causa come elemento che la compie, anzi che la fonda nelle relazioni di senso che attua con lo spazio. Questo spazio infatti non è pensato come astratto, è pensato in termini fenomenologici, è ambiente, spazio vissuto. Il corpo dello spettatore non solo è previsto muoversi e percepire, ma anche, col suo movimento, trasformare l’opera, che varia nel suo aspetto a seconda dei punti di vista. Come Paul Klee, Bernardini può dire che il suo lavoro postula un punto di vista vagante, agito da un osservatore che, osservando e muovendosi per osservare, modifica l’opera stessa in ciò che ha di più fondante, i suoi rapporti significanti con l’ambiente.
Giorgio Verzotti