: Italia
Luigi Mainolfi

A Luigi Mainolfi

Caro Luigi,
ti vedo in continua ricerca di nuove forme, di quelle che ti paiono più significative in riferimento alla tua mente, ai tuoi conflitti. È la tua arte che indirizza la tua mente, non è la tua mente che condiziona la tua arte. Vari momenti della tua vita, le tue vicissitudini hanno fatto emergere immagini latenti. Così si spiega la varietà dei soggetti, delle tecniche e dei materiali che via via hai usato e usi. Ha influito su di te il ricordo delle terre del Sud America, del tufo di Avellino, delle città invisibili, della crosta della terra, dei miti... Le tue mani indirizzano il tuo lavoro, le tue mani che raggiungono livelli artistici nuovi, ancora inesplorati. La tua arte non è concettuale. Direi che diventa popolare, in quanto istintiva. Viene dal profondo della tua nascita, parto della terra e del fuoco. L'acqua ti è meno congeniale. Nell'acqua anneghi, ne hai paura, la racchiudi in bacinelle di bronzo, dove ergi i tuoi tufi. Il sole è il tuo signore. Lo costruisci in legno, in bronzo, persino in alluminio e in ferro. Lo sogni. La terracotta è il tuo elemento, colla quale costruisci le montagne, il cittadòr, la pelle di serpente, "Pacifico", lo "Stagno" - costruzioni che semini di segni misteriosi, taluni fallici, altri occhiuti, che dall'alto guardano sospettosi la natura, quella natura che temi di più, quella che vuoi scoprire, indagare nei suoi significati arcaici. La terra è tua, ed è tua Madre. Le pietre e i tufi che usi sono diversi, ognuno ha un colore che muta alla luce e nel tempo, luce e tempo che fanno vivere la materia, vita che per i marmi e i bronzi è immortale. Che sarà, delle tue bellissime terracotte, quelle che la prima volta ho visto nella tua casa, tue vive presenze, a te simili. Sì, a te simili, parte di te. Tu che collo sguardo capti ogni immagine, ogni particolare della natura, tu che con due occhi vedi contemporaneamente mille cose, e colle mani le trasformi. La tua iniziazione, il desiderio narcisistico di conoscere il tuo corpo - documentato nei novantanove fogli dell'opera MDLXIV (data della morte di Michelangelo!) 1976 - non è solo la riproduzione del tuo corpo, ma è la tua morte e resurrezione. Hai sentito il gesso umido avvolgere il tuo corpo come in un sudario incandescente. "Pensavo - scrivi - a come deve sentirsi l'asfalto caldo quando improvvisamente ci piove sopra, nei temporali d'estate. Fu come un orgasmo trionfale... Era come tornare in vita". Morte e resurrezione. In precedenza ti eri disegnato nudo, in competizione a scacchi con Duchamp. Avevi allora poco più di vent'anni. Poco dopo avevi replicato i calchi del tuo viso, per distruggerli uno alla volta in una performance iconoclasta. Sei fotografato, con aria inquieta, gli occhi indagatori, col martello assassino in mano. E ancora, nel 1977, ti butti giù dal trono, la tua furia iconoclasta perdura. Ma anche lì eri un tu non vero, non quello solenne delle tue forme originali, frutto del tuo sacrificio, della tua nuova nascita. Quello vive in te, è quello che si identifica colle montagne, colle rughe della terra, le città, le pelli. È quel TU che oggi ammiriamo ad Asti, parto della natura, natura che più non temi, perché in tuo dominio.

Il tuo affezionato

Giulio Einaudi

 

Curatore: Vincenzo Sanfo
Testo a cura di Luigi Einaudi, pubblicato in occasione della mostra ai Musei Civici, Rotonda di S.Pietro - Asti, 1995