Palazzo Grassi all'insegna dell'essenziale
Fonte: Il Gazzettino
Sarà l'ex ministro della cultura francese ed ex direttore del Centro Pompidou di Parigi, Jean Jacques Aillagon, a illustrare oggi alla stampa il restauro di Palazzo Grassi e a dare qualche informazione in più sul nuovo museo che aprirà al pubblico il 30 aprile. Aillagon sarà il direttore del museo acquistato dal magnate francese Francois Pinault, uno dei maggiori collezionisti di arte del ventesimo e ventunesimo secolo, oltre che fondatore di Ppr, gruppo protagonista nel mondo dei beni di lusso, con marchi come Gucci, Bottega Veneta, Yves Saint Laurent, Sergio Rossi, Boucheron, Stella Mc Cartney, Alexander McQueen. Pinault oggi è atteso a Venezia per una breve visita a Palazzo Grassi.
Il "nuovo" Palazzo Grassi è ancora un cantiere in pieno fermento, ma a tre settimane dalla riapertura già si vede la mano dell'architetto Tadao Ando, che ne ha curato il restauro, eseguito dalla ditta trevigiana Brandolin Dottor. Pur nel rispetto dell'architettura del palazzo, è il trionfo del minimalismo e dell'essenzialità, del bianco e del grigio come sfondi di quelle che saranno poi le opere e le installazioni esposte, della modernità nelle linee e nei materiali, con l'impiego di un nuovo composto resistente e leggero, il Corian, a metà tra il marmo e la plastica, e dell'utilizzo di video al plasma che proietteranno le immagini delle collezioni messe in mostra.
La riapertura al pubblico è prevista per domenica 30 aprile, ma il 27 ci sarà la vernice per la stampa e il 29 la giornata dei "vip" e della grande festa, alla quale sono attese circa 3mila persone, con selezionata e ovvia rappresentanza italiana e francese, visto che il museo ora appartiene al miliardario transalpino Francois Pinault. Grigio e bianco, dunque: colori neutri in grado di dare risalto alle opere che saranno collocate in circa 40 stanze tra primo e secondo piano. E a stupire i visitatori, una speciale soluzione architettonica posta nell'androne, a 20 metri dal suolo, che oggi è ancora da collocare. Quello c'è ora, entrando in un museo al quale accedono solo gli operai e il personale addetto ai servizi, è un groviglio di impalcature e tubi, a cominciare dall'androne, dove sono state portate alcune colorate installazioni ultramoderne. Il resto è un via vai di tecnici, operai, stuccatori. Tutti a correre come matti per finire in tempo per il 30 aprile. L'ingresso sarà chiuso da una doppia porta, quella esterna tradizionale e una porta in vetri e acciaio più interna. I marmi e gli stucchi che c'erano prima sono ancora al loro posto, ma verranno affiancati da un sistema di 1500 lampade sostenute da 120 travi in alluminio. Al primo piano, i pavimenti sono rigorosamente grigi e lisci, così come liscie ma bianche sono le pareti e pure i pannelli che nelle sale espositive caratterizzeranno le varie sezioni. Rivoluzionata la caffeteria che, così come il bookshop, è stata curata da Tadao Ando. Nella prima sala ci sarà il caffè vero e proprio, con arredamento minimal e video al plasma alla parete. Nella sala che si affaccia sul Canal Grande, dove prima c'era il bancone del bar, ci sarà un piccolo ristorante che servirà non veri e propri pranzi, ma spuntini di qualità, con ingredienti tipicamente veneti e veneziani e mini portate, anche calde, preparate direttamente sul posto. Tutto, anche le tovaglie e i tovaglioli, sarà caratterizzato dal nuovo logo di Palazzo Grassi, ancora in fase di studio come il sito internet. Nel complesso, quindi, circa 5mila metri quadrati di spazi espositivi e uffici proiettati verso l'innovazione. Così come innovativa sarà la mostra di apertura, dal titolo "Where are we going", che si protrarrà fino al 1° ottobre. Pinault proporrà 200 opere della sua collezione inedita di una cinquantina di artisti, tra cui Mark Rothko, Piero Manzoni e Donal Judd, fino a star internazionali come Damien Hirst, Pierre Huyghe, Cindy Shermann, Maurizio Cattelan, Urs Fischer, Piotr Uklanski e Rudolf Stingel.
“Where are we going?” ne è un esempio. La mostra, curata da Alison M. Gingeras, propone opere dal dopoguerra in poi e comprende varie correnti artistiche come la Scuola di New York e l’Astrattismo Europeo, l’Arte Povera, il Minimalismo, il Post Minimalismo e la Pop Art, oltre a esponenti delle più recenti rivisitazioni Pop.
Il titolo prende spunto dalla celebre domanda formulata da Paul Gaugin all’alba del Modernismo, riproposta nel 2000 da Damien Hirst per il titolo di una sua scultura. “Where are we going?” trova ora una nuovo significato: la natura evocativa e provocatoria delle opere esposte propongono una riflessione sulla condizione umana, sulla cultura contemporanea e sul futuro del mondo in cui viviamo.
L’attività di Palazzo Grassi prevede un programma di esposizioni della collezione personale di François Pinault alternate a mostre tematiche e storiche con opere provenienti da prestatori e istituzioni internazionali.
Pinault è il fondatore di PPR, gruppo leader in Europa nel retail e protagonista nel mondo dei beni di lusso, con marchi come Gucci, Bottega Veneta, Yves Saint Laurent, Sergio Rossi, Boucheron, Stella Mc Cartney, Alexander McQueen.
Attraverso la holding Artemis – che fa sempre capo a Pinault – è impegnato su numerosi altri fronti con attività internazionali, tra cui la prestigiosa casa francese di vini Chateau Latour e Christie’ s, leader mondiale delle case d’asta.
La prima testimonianza certa circa la volontà dei Grassi di realizzare una propria residenza ex novo nella parrocchia di San Samuele è del 1732; Zuanne e Angelo Grassi acquistano dai fratelli Antonio e Bartolomeo Trivellini alcune case tra Canal Grande, il campo San Samuele e la calle immediatamente retrostante. L'edificio più pregiato in questo lotto è il palazzetto che occupa lo spigolo esterno, verso l'acqua, e che è ben visibile in tutta una serie di testimonianze grafiche e pittoriche (lo si veda perfettamente ritratto nella tela di Bernardo Bellotto al Museo di Lione). Ma le ambizioni dei Grassi - che, per altro, subito si trasferiscono ad abitare in questa loro nuova proprietà - non si potevano certo accontentare di una tale sistemazione. Non era una pur dignitosa palazzina sul Canal Grande a poter soddisfare il bisogno impellente di visibilità e di decoro, o quello di ostentazione della acquisita potenza e della non meno inequivocabile ricchezza il punto di approdo per un'avventura immobiliare che era certo comune a pressoché tutte le potenti famiglie di più o meno recente nobiltà in Venezia. Se le casate antiche e antichissime avevano addirittura attivamente contribuito alla costituzione degli originari lotti fondiari allungati e profondi lungo le sponde del Canal Grande realizzando contestualmente la prima grande serie di case-fondaco duecentesche sulle sponde della magnifica via d'acqua, era stato con la stagione splendente e rampante del gotico veneziano che si erano viste crescere lungo tutto il tre e quattrocento e addirittura oltre le immense moli fiammeggianti e policrome dell'architettura archiarcuta. Spetta però all'architettura rinascimentale riproporre e ideologizzare il ruolo e la forma dell'abitare moderno e classico, riportando anche a Venezia gli ordini e le regole di un'architettura che s'ispirava a Roma antica non meno che a quella moderna: Sansovino e Sanmicheli ne erano stati sotto molti aspetti gli interpreti e i diffusori sin dal medio cinquecento, operando altresì quella sorta di strappo rispetto alla sostanziale continuità del linguaggio architettonico lagunare che innesterà la serrata dialettica tra regole e licenza destinata a perpetuarsi per almeno tre secoli e che avrà solo nella discussa stagione neoclassica il proprio approdo definitivo. Il palazzo monumentale e marmoreo, affacciato su un sito nobile e panoramico, contrapposto alla ferialità della vita quotidiana (ancorché non si disdegnassero i commerci entro un così elevato contesto, né la concessione di parti della dimora padronale in affitto ad altri nobili o borghesi ricavandone laute pigioni) era certamente il più riconoscibile e inequivoco tra i segni che potevano annunciare il conseguimento di uno status: e non erano al contempo rari i casi nei quali le ambizioni - trasformatesi in ossessioni brucianti e in smanie di autopromozione o di autocelebrazione - si rivelavano superiori alle possibilità effettive, così che la costruzione del palazzo di famiglia veniva a coincidere con il disastro economico della stessa. L'acquisto del primo lotto edilizio fu, anche per i Grassi, l'esordio su un palcoscenico di tal genere, insieme immobiliare e culturale, d'investimenti e d'immagine. La mossa successiva vede l'acquisto di un complesso di proprietà Michiel contiguo al lotto Trivellini; si tratta di una realtà sfrangiata e incompiuta, dominata dallo spezzone di un palazzo di notevoli dimensioni che è possibile osservare in più raffigurazioni, dove però si trovano ancora alcune minuscole entità e addirittura dei manufatti in legno: l'acquisto è del 1737. Altre e minori proprietà s'aggiungono nel 1738 e, poi, fino ai primissimi anni quaranta: il lotto messo insieme dai Grassi è cresciuto tanto da garantire una buona fronte sul Canale e sul campo e una altrettanto soddisfacente profondità; vi sono, insomma, tutte le premesse perché l'impresa maggiore possa decollare. Ma è opportuno, infine, annotare come probabile l'inglobamento delle preesistenze nell'edificio nuovo: non è da escludere, infatti, che la grande ala dell'incompiuto palazzo dei Michiel abbia costituito un significativo punto d'appoggio strutturale e dimensionale per il palazzo dei Grassi. Ragioni di economia e la diffusissima pratica del recupero (specie per le fondazioni) nelle costruzioni veneziane spingono a valutare come ben credibile una siffatta ipotesi: gli stessi riscontri di misura e d'orientamenti non la smentiscono, tutt'altro. Perduto l'archivio privato dei Grassi, non vi sono carte che provino in termini inoppugnabili la paternità del progetto del palazzo. La letteratura artistica ha sempre parlato di Giorgio Massari (a partire dal Moschini, 1805) né vi sono ragioni per dubitare di una tale autorevole testimonianza; le stesse scelte linguistiche che qualificano la mole depongono a favore di una tale attribuzione. Semmai si sottolineerà che il Massari nello stesso giro d'anni lavora anche, di fronte al Grassi, a completare e ampliare il palazzo appena acquistato dai Rezzonico e lasciato incompiuto dai committenti originari, i Bon, così che non ci si può sottrarre alla tentazione di rimarcare coincidenze e divergenze nelle scelte e nel metodo di lavoro dell'architetto di qua e di là del Canale. Riepilogando a questo punto fatti e documenti, diremo che, completato l'acquisto del fondo, si attiva il cantiere per i tagliapietra nel 1745; nel 1748 si sta scavando alle fondazioni; nel 1758 muore Angelo Grassi, committente, a detta del Gradenigo, del "nuovo, bel palazzo sopra Canal Grande a S. Samuele"; nel 1766 il palazzo subisce, a lavori in corso, un ampliamento; nel 1767 viene rifatta e ampliata la riva d'acqua principale; nel 1772, alla morte di Paolo Grassi, uno dei figli del primo committente, l'edificio è presumibilmente terminato. In un quarto di secolo circa, e senza gravi interruzioni nell'attività del cantiere la grande mole del palazzo dei Grassi sarebbe stata condotta a compimento: la sostanziale unitarietà della fabbrica viene ad avvalorare una tale supposizione; le aggiunte e i rifacimenti (la riva sul Canal Grande, soprattutto; un aggiustamento forse ampliamento nella parte nord del fabbricato che potrebbe aver coinvolto anche la struttura dello scalone monumentale; forse una soprelevazione) nulla tolgono alla compattezza e organicità dell'insieme e, una volta ancora, il nome di Giorgio Massari quale progettista trova una convincente conferma.