USA - DENNIS OPPENHEIM

L’inserimento di Heavy Dog Kiss nella tredicesima edizione di OPEN segna il ritorno di Dennis Oppenheim a Venezia, dopo la tanto acclamata partecipazione alla 47a Biennale nel 1997. Durante gli oltre quarant’anni di carriera costellata di successi, l’artista concettuale nordamericano non ha mai smesso di reinventarsi. Precursore della Land and Body Art e della Video and Performance Art alla fine degli anni Sessanta, negli anni Settanta e Ottanta ha iniziato a concepire installazioni e sculture di grandi dimensioni. Negli ultimi due decenni si è concentrato sull’arte pubblica con il suo ultimo progetto, Radiant Fountains, tre strutture metalliche a forma di schizzo di acqua alte due metri con animazioni luminose LED, attualmente in fase di installazione a Houston, in Texas.
L’opera Heavy Dog Kiss è stata inizialmente realizzata in vetroresina pigmentata nel 1993 e fa parte di prestigiose collezioni come la collezione permanente del Whitney Museum of American Art di New York City, mentre l’attuale versione è in marmo e farà parte della collezione del Museo del Parco di Portofino. La scultura raffigura la testa di un cane, eretto, che protende il muso verso il volto del suo padrone, il quale riproduce lo stesso gesto, dando vita a un bacio continuo.
L’antropomorfismo del cane e l’espressione simile a una maschera del suo padrone sono caratteristici del processo creativo di Oppenheim, che decostruisce e trasforma oggetti familiari, esseri e scene per sfidare la nostra percezione e il nostro concetto della realtà. Il cane pende dalle labbra del padrone o il padrone fa affidamento sull’attaccamento del cane? Oppure sono entrambi mere rappresentazioni, emanazioni l’uno della mente dell’altro?
È possibile che cane e padrone siano soltanto creature evocate a suo piacimento dall’artista, il quale continua ad abitare la scena e le sue possibilità attraverso l’inserimento di materiali non lavorati riposti nella cavità della maschera umana, che presto possono assumere nuove forme. Secondo Oppenheim, la stratificazione superficiale della forma e del contenuto, senza una spinta interna ricca e ispirata, è destinata a produrre risultati deludenti. È invece importante indursi a scavare in ogni opera per tentare di penetrare qualcosa. L’arte dovrebbe essere ciò che non sappiamo.
In questo periodo, i visitatori desiderosi di esplorare ulteriormente l’universo argutamente surreale di Oppenheim hanno l’opportunità di vedere una mostra curata da Alberto Fiz alla Galleria Fumagalli di Bergamo che comprende l’installazione Theme for a Major Hit (1974), un gruppo di burattini, veri alter ego in miniatura, che danzano sulla melodia “It ain’t what you do, but what makes you do it”, incarnando il dilemma esistenziale fondamentale dell’artista.
 

 

Testo a cura di Claudia Paetzold